Credetemi, non è assolutamente facile mantenere una certa obiettività, il classico filo conduttore, nella nostra amata professione medica (e sicuramente anche in altri ambiti di lavoro): quando sono di fronte ad un paziente, sono obbligato a confrontarmi con due modi diversi di professare.
Da una parte l’atteggiamento scientifico, clinico-sperimentale, basato sulla “pubblicazione scientifica”. Pub-med, grande ed immenso raccoglitore di pubblicazioni di tutte le più importanti riviste scientifiche del mondo, la bibbia del medico moderno, la soluzione di tutti i problemi!
Difficilissimo imparare a navigare in questo mare di sapienza, pensate che sono molto frequentati corsi specifici, necessari per imparare a gestire tutta questa immensa banca dati.
Devo ammettere che quando devo approfondire una problematica professionale, avere un supporto scientifico di tale portata mi rende molto più sicuro; il sapere, per esempio, che per una determinata terapia, scienziati e ricercatori hanno pubblicato su riviste di fama lavori sperimentali che hanno avvallato (o affossato) la stessa, mi rafforza nelle mie convinzioni personali, ma faccio due riflessioni: la prima è che proprio recenti inchieste (non giudiziarie, ma proprio fatte da ricercatori) hanno confermato vecchi sospetti: in America, ma anche in Gran Bretagna, Cina e India, alcune pubblicazioni su riviste blasonate non erano vere! Sottolineo alcune, ma non penso si possa quantificare la reale portata del fenomeno.
Grandi interessi commerciali generanti corruzione in una parte del mondo scientifico (si spera “piccola” parte) hanno quindi un poco destabilizzato la sicurezza degli operatori.
Altra riflessione è quella che mi permette di riagganciarmi al secondo modo di professare, che è quello cioè di considerare l’unicità della persona, la non riproducibilità e, praticamente, l’impossibilità di fare una seria sperimentazione scientifica per le troppe variabili che entrano in gioco.
Difficile gestire tutti i dati epidemiologici, le probabilità di guarire, di migliorare, quando di fronte ti rendi conto che hai una “unicità”.
Purtroppo le ricerche scientifiche dicono che se prescrivi un’aspirina per il mal di testa, molti pazienti sentiranno sollievo, ma a qualcun altro, in numero inferiore, non darà sollievo, e anzi, i più sfortunati si troveranno con lo stomaco che brucia!
Le cosidette medicine alternative, come l’agopuntura, la medicina tradizionale cinese, la naturopatia, l’omeopatia ed altre, rivendicano proprio questa unicità dell’uomo e di conseguenza della sua malattia, e l’impossibilità quindi di un qualsiasi modello adatto ad una sperimentazione ampia e attendibile.
Nader Butto, grande medico cardiologo israeliano, durante una conferenza, ha iniziato dal quark, punto di confine conosciuto tra l’energia e la materia, primo mattone dei neutroni e dei protoni, costituenti il nucleo dell’atomo, per farci capire che una strada percorribile può essere proprio quella di ricordarci, sempre, che i nostri corpi, in realtà la nostra energia vitale è sempre e costantemente in rapporto con l’ambiente circostante, con il quale interagiamo, mandando e ricevendo bioenergia.
L’origine della malattia viene riproposta come alterazione del rapporto che abbiamo con l’universo che ci circonda, con l’acqua, l’aria, il cibo, e sfido chiunque di voi a non avere mai pensato questo neppure per un minuto!
Senza nulla togliere ai farmaci, alle grandi scoperte tecnologiche che rimangono la strada maestra (almeno per me) del mio modo di intendere la professione, lasciatemi però l’immenso piacere proprio esclusivo del fare il medico, di mantenere un atteggiamento globale, olistico, sapendo che nulla, ma proprio nulla può essere dato per scontato, perchè alla fine, la persona che abbiamo di fronte, è proprio, assolutamente, unica, che unico è il suo modo di vivere, e imprevedibile, nonostante tutti i modelli di riferimento, sarà comunque il suo modo per affrontare la terapia e di guarire.
"Ogni paziente è unico" articolo pubblicato nel numero di Febbraio 2011 della rivista Brescia FarmaciaFutura.